L'autostima è il processo soggettivo e duraturo che porta il soggetto a valutare e apprezzare se stesso tramite l'auto-approvazione del proprio valore personale fondato su auto-percezioni.
La parola autostima deriva appunto dal termine "stima", ossia la valutazione e l'apprezzamento di sé stessi e degli altri.
L'autostima è l' insieme dei giudizi valutativi che l'individuo dà di se stesso. Essa può essere costruita giorno dopo giorno attraverso strategie cognitive.
Definire il costrutto di autostima non è semplice, in quanto si tratta di un concetto che ha una ampia storia di elaborazioni teoriche. Una definizione concisa e condivisa in letteratura potrebbe essere la seguente:
Insieme dei giudizi valutativi che l’individuo dà di se stesso (Battistelli, 1994).
Tre elementi fondamentali ricorrono costantemente in tutte le definizioni di autostima (Bascelli, 2008):
a) La presenza nell’individuo di un sistema che consente di auto-osservarsi e, quindi, di auto-conoscersi.
b) L’aspetto valutativo che permette un giudizio generale di se stessi.
c) L’aspetto affettivo che permette di valutare e considerare in modo positivo o negativo gli elementi descrittivi.
L’autostima è un paradigma che può essere costruito giorno dopo giorno attraverso strategie cognitive.
Una prima definizione del concetto di autostima si deve a William James (cit. in Bascelli e all, 2008), il quale la concepisce come il risultato scaturente dal confronto tra i successi che l’individuo ottiene realmente e le aspettative in merito ad essi
Alcuni anni dopo Cooley e Mead definiscono l’autostima come un prodotto che scaturisce dalle interazioni con gli altri, che si crea durante il corso della vita come una valutazione riflessa di ciò che le altre persone pensano di noi.
Date al vostro “cigno” una chance e non permettete mai a nessuno di convincervi che siete solo un “brutto anatroccolo” e che niente potrà cambiarvi.
Tutti noi conosciamo la fiaba di Andersen in cui il brutto anatroccolo, diverso dagli altri, è fermamente convinto di essere, per l’appunto, brutto, e comprende solo alla fine della storia di non essere un’anatra malriuscita, bensì un cigno. Decisamente un notevole cambiamento di prospettiva.
Il brutto anatroccolo ha imparato, sin da piccolo, a considerarsi inadeguato ed è così convinto della sua visione delle cose che, quando vede riflessa nell’acqua la propria immagine di cigno, sul principio non si riconosce nemmeno.
Un meccanismo non molto differente da quello che si attiva in molte persone che, per le motivazioni più varie, hanno imparato a vedersi brutte e come tali si comportano, sminuendo i propri pregi e rinforzando sempre di più l’immagine svalutante che hanno di loro stesse
Da dove nasce un simile atteggiamento? Lo psicoterapeuta Luca Saita cerca, prendendo spunto dalla propria esperienza clinica, di fare luce sulle ragioni che conducono le persone ad agire da brutti anatroccoli, nonostante in ognuno di noi ci sia un cigno che vuole emergere.
In altre parole, come mai una persona impara, perché di un processo di apprendimento si tratta, a vedersi brutta? Perché distorcere la propria immagine corporea, facendosi tiranneggiare da una smania di irrealistica perfezione?
L’autore individua tre meccanismi che interferiscono negativamente nella creazione dell’immagine corporea:
a) attacco diretto o indiretto;
b) proiezione;
c) etichettamento.
Nel primo caso la persona subisce un attacco, diretto o non, al proprio corpo (“oggi hai davvero un aspetto orribile!”); nel secondo caso qualcuno, in modo inconsapevole, per liberarsi di proprie caratteristiche fisiche che non accetta, le attribuisce a qualcun altro (la madre che dice alla figlia “Non metterti quel vestito, ti ingrossa”); nell’ultimo caso vengono attribuite alla persona etichette (il “nasone”, il “roscio”, “gambe storte”).
Quando una persona viene costantemente sottoposta ad influenze negative di questo genere non c’è da meravigliarsi che impari a vedersi solo ed unicamente attraverso le lenti distorte della disistima. Non bisogna sottovalutare gli effetti di un tale atteggiamento: l’immagine corporea, il modo in cui ci vediamo e ci presentiamo agli altri, ha delle ripercussioni molto profonde a livello di sicurezza di sé; in altre parole, il vedersi “brutti”, il percepirsi inadeguati, ha conseguenze che influiscono non solo sul corpo, ma anche sulla mente, sul modo di stare al mondo.
Chiaramente si tratta di un vissuto del tutto personale e soggettivo; esistono, come è possibile osservare nell’esperienza quotidiana di ciascuno di noi, persone considerate belle che, però, si vivono come costantemente inadeguate e sono sempre alla ricerca di un qualcosa che manca per sentirsi, finalmente, a proprio agio nel proprio corpo. Al tempo stesso, ci sono persone che, pur avendo dei piccoli difetti, si vogliono bene, vivono il proprio corpo con serenità e trasmettono tale serenità anche all’esterno, in termini di sicurezza di sé.
Per questa ragione diventa importante aiutare la persona che non si accetta e tende ad ingigantire i propri difetti, fino, in alcuni casi, a non riuscire a condurre una vita gratificante, a prendere coscienza delle convinzioni erronee che sono alla base della percezione di sé, in modo da sottoporle ad un vaglio critico, riguadagnando una immagine positiva.
Valorizza il talento: l’autostima nasce dalla consapevolezza dei propri talenti; cerca di ritagliarti dei momenti di riflessione su quelli che sono i tuoi talenti
Coltiva la memoria dei successi: ricordarsi dei casi in cui abbiamo avuto successo è un motore potente per guardare al futuro con ottimismo; tieni con gli altri membri della famiglia una sorta di “calendario dei successi”.
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